La
messinscena simbolista
Già
a partire dall'ultimo decennio dell'Ottocento i criteri e le esigenze
del naturalismo, anche per quanto riguarda il costume, vengono quindi
nuovamente messi in discussione: la svolta simbolista, con le
esperienze teatrali di Paul Fort
e Aurélien Lugné Poe
(Fort
inaugura formalmente il teatro simbolista in Francia fondando nel
1890 a Parigi il Theatre
d'Art,
che diventerà, nel 1893 il Théâtre
de l'Œuvre
con Lugné Poe),
si pone in questo senso in opposizione dichiarata alla concezione
naturalistica dell'allestimento: il teatro, che in questo modo
diviene luogo privilegiato per l'incarnazione dell'immaginazione,
deve liberarsi dalle catene della verosimiglianza, è un luogo dove
si esplicita materialmente e fisicamente la poesia e la potenza del
testo simbolista.
L'impianto
scenografico
conclude la sua funzione di décor
e verosimiglianza, e viene incoraggiata l'azione dei nuovi visionari
pittori per la realizzazione della scena e dei costumi.
Le
pochissime fonti che ci sono pervenute ci offrono comunque un'idea
complessiva della messinscena simbolista: i fondali sono grandi tele
dipinti di colori significativi, come l'oro o il verde, con elementi
evocativi di un'ambientazione appena accennata: l'impianto scenico è
una celebrazione quindi di quella “foresta di simboli” che
Charles Baudelaire aveva illustrato nel poema Corrispondenze
circa vent'anni prima.
Stanislavskij,
Appia e Craig
All'interno
di un così complesso clima di innovazione abbiamo anche un'esigenza
di ritorno alla verosimiglianza:
per conferire autenticità psicologica al personaggio la scena deve
essere lo specchio di quella quotidianità che la linea naturalista
aveva preconizzato con Antoine. Konstantin
Stanislavskij, fondatore insieme a
Dančenko del Teatro d'Arte di Mosca
nel 1898 e ideatore del Metodo, espone la questione del costume in
alcune pagine dell'Etica:
per il regista è l'abito che nella rappresentazione acquista il
valore e il significato del dramma e del personaggio, e si trasforma
così nel “vestito della persona che doveva rappresentare”.
Il
costume, così come altro oggetto o accessorio ci scena, si trasforma
in reliquia, e l'attore deve interagire con esso conferendovi il
significato del testo e la sua profondità psicologica. L'attenzione
ai costumi, nell'idea complessiva dell'allestimento, è essenziale,
poiché definisce la materializzazione fisica del personaggio
sull'attore, ed è quindi uno
strumento per far emergere la sua interiorità.
Adolphe
Appia, scenografo svizzero
profondamente influenzato dalla Gesamtkunstwerk
(opera d'arte totale) wagneriana, auspica invece ad un abbandono
dell'idea di impianto scenico bidimensionale in cui tutti
gli elementi (luci, elementi scenografici, costumi, presenza
dell'attore) siano perfettamente coordinati per creare il volume
della scena, e devono perciò acquisire plasticità.
Sulla
corporeità e sul simbolismo evocativo della messinscena insiste
anche Edward Gordon Craig,
ideatore del concetto di über-marionette
(“supermarionetta”) e della
pratica degli screens,
(pannelli scolpiti dalla proiezione di fasci di luce di vario colore,
dal valore fortemente simbolico) in cui a seconda della direzione, i
corpi degli attori e la cromia dei loro costumi, dalla linea
essenziale, si adattavano contribuire, di volta in volta, a questa
reinvenzione plastica della scena.
Celebre
l'allestimento di Amleto
al Teatro d'Arte di Mosca nel 1911, per cui Craig rinuncia a
qualsiasi connotazione storico-filologica della scenografia e
soprattutto dei costumi: il protagonista indossa un franc
nero, e contrasta con i colori violenti e le linee essenziali dei
costumi degli altri personaggi, i quali si adattano cromaticamente
agli altri elementi della scenografia.
Il
corpo meccanico: la messinscena futurista e il costruttivismo di
Mejerchol'd
Già
agli inizi del Novecento la Russia diventa la roccaforte
dell'avanguardia e di movimenti artistico-culturali
che influenzeranno l'Europa dal primo decennio del XX secolo. La
Rivoluzione russa non aveva solo condizionato le sorti della storia
mondiale, ma aveva dato voce e spinta propulsiva a quei fermenti
artistico-culturali fondati sulla modernità e sulla meccanizzazione,
ovvero il movimento costruttivista, cubista e futurista.
L'allestimento
scenico futurista aveva raccolto i
criteri delle nuove forme di spettacolo come il teatro di varietà,
basato sul veloce susseguissi di sketches,
era stata profondamente influenzata dall'impatto estetico dei
Balletti Russi di Djagilev e dalle esibizioni trascinanti della
danzatrice Loïe Fuller,
e si poneva come promotrice di un'arte fortemente tecnologica e
provocatrice. L'idea tradizionale di teatro viene totalmente
scardinata a favore di un'arte performativa energica e di un impianto
scenico in continuo stato di mutamento, sintesi, movimento,
plasticità e rivoluzione.
Nel
1916 Djagilev commissiona a Fortunato Depero le scene e i costumi
per
il balletto Le chant du
rossignol,
che non andrà sfortunatamente in scena. Depero progetta “dei
costumi dalle forme cristalline, provvisti di una stilizzazione
plastica ben più rigorosa, ai quali doveva corrispondere una scena
costruita, irta di forme vegetali lussureggianti ma anch'esse come
ridotte allo stato minerale.”
Vsevolod
Mejerchol'd
abbandona progressivamente la concezione di scena naturalista per
sviluppare quelle teorie di nuova interpretazione attoriale che
saranno alla base della biomeccanica.
Nella
rappresentazione di Le Cocu Magnifique del 1922 l'artista
Ljubov Popova progetta un impianto scenico che diventerà
l'emblema della messinscena costruttivista: si tratta di un apparato
composto da praticabili e impalcature in cui gli attori si muovono
con un costume uguale per tutti, la tuta da lavoro blu dell'operaio,
sulla quale vengono aggiunti dei particolari che contribuiscono al
riconoscimento del singolo personaggio.
Manifesto per l'Ubu Roi di Alfred Jarry, rappresentato per la prima volta al Théâtre de l'Œuvre il 10 dicembre 1896 |
Messinscena di Amleto, Edward Gordon Craig, Teatro d'arte di Mosca, 1911 |
Fortunato Depero, Bozzetto di
costume plastico per Il canto dell'usignolo
(1916-1917)
|
Le Cocu Magnifique, finale
III atto
|
Germania:
dall'espressionismo al Bauhaus
L'opposizione
al realismo è evidente negli artisti espressionisti: Georg Fuchs
(1868-1948) auspicava ad una rivoluzione dello spazio, in cui
pubblico e attori non fossero divisi dalla quarta parete ma
convergessero nella stessa zona spaziale come nelle sacre
rappresentazioni.
Nella
messinscena espressionista è l'allegoria che domina: per dar
voce agli elementi dell'interiorità e dell'inconscio vengono
concepite scene dalle prospettive oblique e irreali, in cui la forza
di gravità non è presente, come nei sogni. L'illuminazione, sia
negli oggetti che invade sia nelle cromie che assume, ha un carattere
fortemente simbolico
Max
Reinhardt raccoglie l'esortazione di Fuchs: il teatro deve
nuovamente aprirsi alla comunità, nell'intento di ritrovare quella
dimensione partecipativa che aveva caratterizzato il teatro greco
antico. Il 15 dicembre 1916 Reinhardt allestisce il dramma La
morte di Danton di Georg Büchner,
con la scenografia e i costumi di Ernst Stern; la messinscena
raccoglie tutti gli elementi caratteristici (luci, scene di massa) di
una drammaturgia di impianto espressionista.
Oskar
Schlemmer
riprende invece il concetto di meccanizzazione del corpo tramite il
costume, che era, come abbiamo visto, un'idea diffusa dagli artisti
futuristi: la scuola del Bauhaus, fondata da Walter Gropius nella
Germania di Weimar nel 1919, promuoveva un'arte (principalmente
design e architettura) spinta verso la modernità, un'arte
spiccatamente funzionale.
Ne
Il balletto triadico,
messo in scena a Stoccarda nel 1922, i ballerini, con movenze da
pantomima clownesca e da marionetta, indossano costumi sezionati in
varie forme geometriche (cubi, piramidi, dischi, spirali e sfere)
tridimensionali e in colori accesi. Schlemmer incoraggia l'abbandono
dei materiali tradizionali a favore dell'uso di materiali nuovi e di
uso industriale, come il metallo, il gesso, i materiali plastici, la
carta, al fine di creare nello spettatore una percezione diversa del
concetto di materia, volume e spazio.
Il balletto triadico, Oskar Schlemmer, 1922 |
Bozzetti di Oskar Schlemmer per i costumi de "Il balletto triadico" ("Das triadische Ballett", 1922) con annotazioni. Fonte: Museum of Modern Art (MoMA): http://www.moma.org/ |
Bibliografia di riferimento
Angiolillo
M., Storia
del costume teatrale in Europa,
Lucarini, Roma 1989
Barba
E., Nicola Savarese, Scenografia
e costume,
in Id. L'arte
segreta dell'attore. Un dizionario di antropologia teatrale,
Argo, Lecce 1996
Bignami
P., Storia
del costume teatrale,
Carocci, Roma 2005
Bignami
P., Ossicini C., Il
quadridimensionale instabile. Manuale per lo studio del costume
teatrale,
UTET università, Torino 2010
Guardenti
R., Il
costume teatrale: un lento cammino verso il realismo,
inStoria
del teatro moderno e
contemporaneo,
diretta da Roberto Alonge e Guido Davico Bonino, vol. I, pp.
1163-1193, Einaudi, Torino 2000.
Sinisi S., Cambi di scena. Teatro e arti visive nelle poetiche del Novecento, Bulzoni, Roma 1995
Claudia Fasano