martedì 19 luglio 2016

Costumi da sogno: lo spettacolo di varietà a Parigi fra Otto e Novecento


Un'importante e nuova forma di spettacolo, che influenzò sia la drammaturgia che l'impianto visivo del teatro del XX secolo, è il teatro di varietà.

A differenza del Kabarett, che si diffonde in Germania e che diventerà negli anni Venti un genere progressivamente colto, elitario, intellettuale e di dirompente anticonformismo (vi attinsero artisti come Frank Wedekind, Max Reinhardt, Bertolt Brecht, Kurt Weill e Karl Valentin), nei cosiddetti music hall o café-chantant si offriva un tipo di spettacolo improntato sul puro intrattenimento.

A fine Ottocento sorgono a Parigi i locali celebri che diventeranno il simbolo, a cavallo dei due secoli, della vita notturna parigina. Il Moulin Rouge viene inaugurato il 5 ottobre 1889 e diviene ben presto sede di esibizioni considerate all'epoca scandalose, mentre nei pressi di rue Bergère nasce, come teatrino di operetta e vaudeville nel 1869, le Folies Bergère.

Il vanto dei palcoscenici del varietà erano le ballerine e le cantanti, le étoiles: nomi come quello di Louise “La Goulue” Weber, Cléo de Mérode, La Bella Otéro, Loïe Fuller riempiono i manifesti dei café-concert della Belle époque.

Queste étoiles vivevano spesso in ricche pensioni, e con il denaro guadagnato potevano permettersi di servirsi di calzolai, pellicciai e modiste di gran lusso: era d'obbligo abbagliare quanti più spasimanti possibili, con gioielli appariscenti e accessori adeguatamente vistosi.

Negli anni Venti furono Mistinguett e Josephine Baker, icone di sensualità e talento, a divenire presto una garanzia per i maggiori locali parigini, ed incarnarono quella popolarità e quel divismo che sarebbero diventati propri, qualche anno più tardi, delle star del cinema. 
Cléo de Merode
 

Bisogna dire che per quanto riguarda lo studio del costume di questi particolari circuiti, nonostante la loro popolarità, possiamo purtroppo ancora usufruire di ricerche frammentarie, su cui mancano le fonti adeguate: anche per quanto riguarda il periodo di maggior fioritura del varietà, e di maggior successo per i disegnatori (il periodo dell'Art Déco), i bozzetti dei costumi del music-hall parigino non godettero della considerazione adeguata fino agli anni Settanta del Novecento.
In ogni caso dalla fine del XIX secolo la capitale francese diviene sede delle prime sartorie teatrali specializzate nei costumi per i music-hall.

La Maison Pascaud inizia proprio in questo periodo a rifornire di abiti i teatri di varietà della capitale francese, a partire dal Moulin Rouge e dalle Folies Bergére, ampliando la sua attività anche a Londra e New York, e rimarrà un importante punto di riferimento per molti costumisti e disegnatori.

Altre sartorie teatrali, le più importanti specializzate in costumi di scena per il varietà, così come i maggiori talenti, nascono soprattutto dal primo decennio del XX secolo. Durante la Belle époque infatti gli spettacoli si fanno, per volontà dei lungimiranti direttori dei locali, sempre più innovativi: si ingrandiscono le sale, si attira un pubblico ormai numeroso, ma stufo della ormai cristallizzata formula del café-concert del secolo passato, con vedettes d'attrazione e numeri dalle scenografie e dai costumi.

Le Folies Bergère, sotto la guida di Paul Derval, si trasforma in vera e propria fabbrica di sogni per una Parigi sempre più affamata di spettacolarità.

Derval aveva iniziato la sua carriera artistica come attore, ma nel 1917 assume la guida delle Folies Bergère al posto dell'altrettanto innovativo Léon Volterra. Grazie a lui le Folies Bergère conservarono la loro aura di spettacolarità quasi incontrastata fino agli anni Trenta del Novecento. Egli stabilisce l'uso, in ogni rivista, della parola “folie” o “folies”, in cui la parola d'ordine fosse “esasperazione”, “eccesso”,“energia”, il più possibile accecante, per le scenografie, per i costumi, e ovviamente per le ragazze.

Le serate di punta erano frenetiche: l'impiego di forze e di talenti erano volte a produrre serate di almeno quattro ore, con sei o sette cambi per artista, se escludiamo il corpo di ballo che ne doveva effettuare almeno quindici.

Occorrevano pertanto costumisti, disegnatori e scenografi in grado di tener sempre alto il livello di spettacolarità dei numeri, di modo che il pubblico non si stancasse mai; la Parigi notturna aveva bisogno di qualcosa di nuovo, di forme che evocassero il magico e il fantastico, di esibizioni che incarnassero il sogno.

L'impiego dell'organico è notevole: circa due o trecento persone lavorano qui ogni giorno per produrre gli abiti (più di un milione all'anno). Provvidenziale è dunque da considerarsi l'arrivo dei Balletti Russi di Djagilev, di cui abbiamo già parlato, e a cui si ispirano i maggiori disegnatori dell'Art Déco.



Le sartorie teatrali ingaggiavano questi i disegnatori, che lavoravano come liberi professionisti.

Nel 1918, proprio accanto alle Folies Bergère, nasce l'atelier di Max Weldy, che in pochi anni diventa la più importante nel campo del costume teatrale del varietà parigino e internazionale.

È qui che si forma uno dei maggiori disegnatori dell'epoca: Erté (Romain de Tirtoff) era nato nel 1892 a San Pietroburgo. La sua sensibilità artistica matura con le ripetute visite all'Hermitage, e con gli spettacoli del Balletto e dell'Opera Imperiale; nel 1912, dopo essersi diplomato, si trasferisce a Parigi per lavorare come illustratore di moda, per essere poi assunto da Poiret. Erté qui confeziona sia gli abiti per i clienti, sia i costumi per i balli mascherati della vita mondana della capitale francese. Nel 1919 viene notato da Weldy, che gli assegna il primo incarico di disegnare i costumi e le scene delle Folies Bergère: Erté lavora con questo teatro per dodici anni di intensa collaborazione, ma è disegnatore anche per le Ziegfeld Follies, oltre che per alcuni film di Hollywood, dove soggiorna 1925.

Altro “acquisto” di Weldy è il francese George Barbier, l'artista che sotto l'influsso dei costumi di Bakst, e di stilisti del calibro di Worth e Poiret, diventa una delle personalità più influenti per la nascita dell'Art Déco.

Altri nomi illustri sono quelli di Jean Aumond, l'italiano Umberto Brunelleschi, lo spagnolo José de Zamora, e Gesmar, che già a diciotto anni era capo disegnatore all'Olympia grazie alla profonda amicizia con la vedette Mistinguett.


Costumi discegnati da Georges Barbier per le Folies Bergère
 
Costumi disegnati da Erté, anni '20

Umberto Brunelleschi, bozzetto per l'Odalisque, (ca. 1925)
Fonte: Angelo Luerti, Non solo Erté. Costume design for the Paris Music Hall 1918-1940, Guido Tamoni, Schio 2006.

Josephine Baker


Bozzetto di Goerge Barbier per Josephine Baker. 
Fonte: Angelo Luerti, Non solo Erté. Costume design for the Paris Music Hall 1918-1940, Guido Tamoni, Schio 2006.





Endré (Andrew da Passano), bozzetto per le Folies Bergère, Les porteuses d'oiseaux, anni Venti.
Fonte: Angelo Luerti, Non solo Erté. Costume design for the Paris Music Hall 1918-1940, Guido Tamoni, Schio 2006.



Bibliografia di riferimento:


De Angelis R., Cafè-Chantant: personaggi e interpreti, La casa Uscher, Firenze 1987.

Luerti A., Non solo Erté. Costume design for the Paris Music Hall 1918-1940, Guido Tamoni, Schio 2006.

Pretini G., Spettacolo leggero. dal music-hall, al varietà, alla rivista, al musical, Trapezio libri, Udine 1997.

Ramo L., Storia del varietà, Garzanti, Milano 1956.


Claudia Fasano


giovedì 14 luglio 2016

L'arte del costume nel Kathakali



Come tutte le forme d'arte indiane, altrettanto antiche, il Kathakali è un'arte performativa è fortemente connessa alla tradizione e alla dimensione del sacro. 
Esso ha origine nell'India meridionale, si distingue come arte autonoma attorno alla metà del XVI secolo, ed illustra vicende e temi importanti tratti dai celebri poemi epici della cultura induista, come il  Mahābhārata ed il Rāmāyaṇa
Per tradizione una rappresentazione di Kathakali dura per una notte intera, poiché simbolicamente termina con la vittoria della luce sulle tenebre.
Come in molte forme d'arte performativa orientale (ma anche occidentale, se prendiamo in esame ad esempio la nostra Commedia dell'Arte) i costumi sono elementi caratteristici di personaggi fissi, che sono quindi resi subito identificabili dallo spettatore a seconda dell'abito, degli accessori e del trucco. 
I costumi ed il maquillage permettono inoltre, in questo caso specifico, di focalizzare l'attenzione su determinate aree espressive del corpo, funzionali all'intera performance: come nelle altre forme di danza tradizionale indiana, i danzatori comunicano le emozioni e l'andamento delle vicende rappresentate tramite espressioni facciali enfatizzate e codificate, come codificati sono i gesti simbolici dei mudra, classificati in un vero e proprio linguaggio.


I costumi

L'accessorio caratteristico è rappresentato dal copricapo, proporzionato al livello di divinità del personaggio: gli dèi e i demoni indossano un copricapo ampio ed elaborato, mentre per gli umani questo ornamento assume proporzioni decisamente più realistiche.
Il caratteristico khesabharan kiritam è riservato perlopiù ai personaggi eroici e divini. Si presenta come un cerchio a più strati al centro del quale è posta una tiara a forma di cupola, entrambi intagliati nel legno e successivamente dipinti e decorati con gemme, lamine e perle metalliche e altri dettagli realizzati con un impasto ricavato dal riso o più semplicemente con plastica. 
Nella fase della vestizione il performer percepisce il momento in cui indossa il kiritam come un momento sacro. La divinità del personaggio rappresentato risiede dunque in questo elemento del costume, e viene assorbita dall'attore il quale pronuncia preghiere e ringraziamenti. 


Realizzazione dei kiritam
Fonte: http://kathakalischool.com/
Fonte: http://kathakalischool.com/

I personaggi femminili portano invece varie fasce più o meno decorate ed un berretto (kontakettu) posto a sostegno del velo, in tessuto dorato.
Altro dettaglio caratteristico del costume del Kathakali è l'ampia gonna (chiamata lehengra o semplicemente sari quella femminile, ututtukettu quella maschile) sostenuta da sottostrutture imbottite (chanti) simili al nostro cinquecentesco bum roll, crinoline e sottogonne. La gonna è in cotone bianco con un orlo di colore rosso.
I personaggi demoniaci, caratterizzati da un trucco e da un costume fortemente improntato sul grottesco, portano spesso dei seni posticci appuntiti.
Gli altri accuratissimi accessori includono elaborate collane, collari ed altri gioielli che ricadono pesantemente sul petto, bracciali, spalline, unghie in metallo, e cavigliere con sonagli (kecchamani per gli attori, chilanka per le attrici) che esaltano i movimenti.






Il trucco

Nel Kathakali il procedimento di applicazione del trucco dura circa tre ore. Viene applicato da una persona designata a questa speciale mansione (il Chuttikkaran), mentre il performer rimane disteso a terra. Esistono sette categorie di trucco, a seconda del personaggio rappresentato, poiché il colore assume una funzione fortemente simbolica. 

Paccha ("Verde")
Questa categoria rappresenta gli eroi di orientamento spiccatamente positivo, nobile e virtuoso. 
Il trucco caratteristico ha una base in verde (un colore che richiama la natura divina), con labbra dipinte di rosso, occhi allungati con tinta nera, ed infine un simbolo di devozione dipinto sulla fronte.



Kari ("Nero")
Si tratta dei personaggi con connotazioni divine e fortemente demoniache. La base del trucco è nera con dettagli bianchi, e gli attori indossano delle zanne.




Katti ("Coltello")
Alcune entità demoniache possiedono connotazioni positive e virtù, pur conservando la loro natura selvaggia. 
Anche in questo caso la base è verde ma interrotta da un paio di elementi rossi ai lati del naso a forma di lama, da cui deriva il nome del trucco. Anche in questo caso gli attori portano delle zanne.



Payuppu ("Maturo")
Si tratta anche in questo caso di entità divine, ma con un trucco in tonalità arancio invece che verde.

Tati ("Barbuto")
Sono i personaggi di connotazione malvagia che indossano una barba posticcia, che può essere nera, rossa o bianca.

Minukku ("Splendente")
I personaggi umani positivi (brahmini, principi, donne ecc...) hanno un trucco molto meno appariscente. L'incarnato è appena valorizzato da tonalità calde tendenti al rosa, le labbra sono contornate da una tinta nera e dipinte in rosso, gli occhi (che devono essere carichi di espressività) sono contornati e allungati in nero, così come le sopracciglia. Spesso sul viso vengono dipinti dei riccioli neri. 



Theppu ("Speciale")
Gli animali o alcuni tipi di personaggi umani appartengono a questa categoria, e avranno un trucco i cui dettagli evidenziano caratteristiche particolari.


Bibliografia

Maeden W., An introduction to Kathakali costume, Published in TD&T, Vol. 49 No. 1 (winter 2013)

Azzaroni G., Nepāl, Bhutan, India, Śrī Laṅkā, vol. IV, in Id. Teatro in Asia, Bologna, CLUEB 1998

Barba E., La canoa di carta. Trattato di antropologia teatrale, Bologna, Il mulino 1993.


Claudia Fasano

martedì 12 luglio 2016

Collabora con il blog

Se siete interessati a collaborare con Le vesti di Dioniso potete inviare i vostri articoli o recensioni di mostre, film e spettacoli all'indirizzo: levestididioniso@gmail.com.

L'argomento può riguardare un tema specifico del costume teatrale, cinematografico, e di qualsiasi arte performativa, del passato e del presente.

Il file deve essere in formato odt, doc, rtf, il carattere deve essere leggibile (es. Times New Roman corpo 12), e l'articolo deve contenere da un minimo di 1 ad un massimo di 4 cartelle.
Evitare la presenza di note e cercare di inserire ogni approfondimento nel corpo del testo.
È gradita, ma non necessaria se non per determinati argomenti, la stesura in fondo all'articolo di una minima bibliografia di riferimento.

Le immagini (png, jpeg,) devono essere inserite all'interno della stessa cartella.  È opportuno scrivere all'interno del corpo del testo il nome del file che si intende inserite in quel punto preciso, insieme alla didascalia.
Per ogni immagine è preferibile la presenza di una didascalia con eventuali fonti/link di provenienza.

Ogni modifica fatta verrà segnalata prima dell'eventuale pubblicazione. 



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sabato 9 luglio 2016

I Balletti Russi. Fra teatro e moda

Michel Fokine e Tamara Karsavina nel balletto L'oiseau de feu (L'uccello di fuoco, 1910). Costumi disegnati da Léon Bakst e Aleksandr Golovin
I Balletti Russi non solo rivoluzionarono il concetto di costume per la danza, ma ebbero anche un fortissimo impatto nella storia del costume teatrale del Novecento e su tutta l'estetica e sulla moda degli anni avvenire.
La tradizione del balletto russo aveva già raggiunto una certa popolarità con Michel Fokine, il quale sarà coreografo dei Ballets Russes dal 1909 al 1912, e Marius Petipa (1818-1910), ballerino francese, coreografo del Balletto Imperiale di San Pietroburgo dal 1862.
L'inizio dell'evoluzione dell'abito di scena specifico per la danza avviene con due balletti fondamentali: La figlia del faraone (1862) e La Bayadère (1877).
In questi due spettacoli si decide di adattare il tradizionale costume, il tutù, alle esigenze della trama dei balletti in questione, e si compie la scelta (al tempo assai audace) di aggiungere appunto degli ornamenti che richiamassero un gusto orientaleggiante.
 Altra novità, certamente importante, fu che il pubblico parigino, a differenza di quello russo, era all'epoca totalmente disabituato a vedere sulla scena dei ballerini maschili, e non ci si era dunque posti il problema di creare costumi per la danza adatti ad un corpo maschile.
 La compagnia dei Balletti Russi nasce nel 1909 per volere di Sergej Djagilev, che da impresario aveva intenzione di far confluire l'eccellenza dell'arte performativa del danzatori russi alle novità estetiche di cui il pubblico parigino era sempre ingordo.
Djiagilev mette insieme un vero e proprio team di produzione per i suoi spettacoli, fra i quali vi era Léon Bakst, che per certi versi può essere considerato, insieme al suo collega Aleksandr Benois, colui che fondò la professione di costumista per come noi oggi la conosciamo. I due si servivano infatti della collaborazione di atelier e sartorie, che lavoravano in stretto contatto con i disegnatori per dar vita ai bozzetti creati preventivamente. Una tipologia di lavoro teatrale totalmente inusuale all'epoca, basata su una profonda intesa artistica fra disegnatore e sarto, fra intento poetico e ideazione artigianale.
Léon Bakst


L'estetica dell'abito si rivoluziona.: Parigi rimane incantata dagli opulenti ed esotici abiti di spettacoli memorabili come Cleopatra (1909) e Shéhérazade (1910), arricchi di pietre preziose e perle.

 Questi primi due spettacoli fecero scoppiare una vera e propria mania per l'esotismo sia nella moda sia nell'arredamento; i colori forti, in special modo il verde e il blu, brillanti come gemme, vengono utilizzati anche per i fondali della scenografia. 

 Con L'Oiseau de feu (L'uccello di fuoco, 1910) Bakst rivoluziona il costume della ballerina: Tamara Karsavina, altra celebre figura della compagnia che interpreta il misterioso Uccello di Fuoco, non indossa un tutù ma degli esotici pantaloni velati dal gusto eccentrico con ricche decorazioni, perle e accessori.

 I costumi non si ispiravano solo all'Oriente e agli abiti tradizionali russi, come nella messinscena di Petruška (1911) o de La sagra della primavera avvenuta nel 1913 e causa di grande scandalo per la crudezza del tema trattato, ma anche all'Antica Grecia: è il caso del balletto L'Après-midi d'un faune (1912), per il quale Nijinskij e Bakst cercarono di richiamare i criteri di bidimensionalità della pitture dei ballerini attici.


Leon Bakst, bozzetto per Cleopatra (1909)



A sinistra: il costume disegnato da Léon Bakst e realizzato da M. Landoff e Marie Muelle per "Le Dieu bleu" (1912). (Fonte: The National Gallery of Australia, http://nga.gov.au). A destra: lo stesso costume indossato da Vaclav Nižinskij




Costume di ninfa disegnato da Léon Bakst per il balletto L'Aprés-midi d'un faune (1912). Fonte: The National Gallery of Australia, http://nga.gov.au


Negli anni furono molti gli artisti che collaborarono con i Balletti Russi in qualità di costume designer, come li chiameremmo oggi.

 Pablo Picasso disegnerà i costumi per Le Tricorne (1919), Pulcinella (1920) e Mercure (1924). Nel 1920 sarà Henri Matisse a disegnare gli abiti di scena per Le chant du rossignol, mentre Giorgio de Chirico lavorerà con Djagilev per la produzione del balletto Le Bal, e nel 1931 per i costumi di un'altra messinscena di Pulcinella e nel 1938 per quelli di Protée.

 Come abbiamo già accennato prima l'estetica dei Balletti Russi influenzò profondamente la moda della cosiddetta Belle époque, quel periodo in cui la strada della moda femminile si biforca in due tendenze quasi opposte: la prima, caratterizzata dalla rigida linea ad S dei bustini, la seconda che vuole la silhouette della donna più libera e avvolta in abiti dal gusto esotico, che cadono larghi e comodi pur seguendo le linee del corpo, con maniche larghe, stretti in vita spesso da un nastro o una cordicella. Di quest'ultima tendenza fanno parti i pionieri Paul Poiret e Mariano Fortuny.

Del resto anche presentarsi in società è di per sé un atto performativo. Lo sapeva bene la marchesa Luisa Casati, uno dei personaggi più eccentrici del momento, colei che disse di sé “Voglio essere un’opera d’arte vivente”, che passeggiava per Piazza San Marco a Venezia con un ghepardo munito di collare di diamanti e guinzaglio, e che una volta si presentò ad una festa da ballo totalmente laccata d'oro.

La marchesa Casati, che si fa vestire principalmente da Fortuny, in quegli abiti chiamati delphos poiché ispirati alla moda della Grecia Antica, chiama proprio Bakst in occasione del ballo all’Opéra di Parigi nel 1922, e gli fa realizzare un costume per la sua “Regina della Notte”.


Costumi disegnati da Nikolai Roerich per le danzatrici femminili per il balletto Le Sacre du printemps (La sagra della primavera, 1913) di Igor Stravinskij.
Fonte: Victoria and Albert Museumhttp://www.vam.ac.uk/


La marchesa Luisa Casati nel suo costume di "Regina della Notte" creato per lei da Léon Bakst (1922)



Bibliografia di riferimento

Pojarskaia M., Volodina T., L'art des ballets russes a Paris. Projets de decor et de costumes, 1908-1929, Gallimard, Paris 1990

Bowlt J. (a cura di), Teatro della ragione/teatro del desiderio. L'arte di Alexandre Benois e Léon Bakst, Skira, Milano 1998

Schouvaloff A.,  Léon Bakst. The theatre art, Sotheby's publications, London 1991


Claudia Fasano